sabato 29 febbraio 2020

FIDCA Udine a Palmanova il g 27 febbraio 2020 incontro con il Presidente Nazionale Cav.Eugenio Ottavio Montalto

Il g. 27 febbraio 2020 la Fidca di Udine,con Quattrocchi,Bortolotti e Vidon  ha incontrato il Presidente Nazionale FIDCA Cav.Eugenio Ottavio Montalto.

Il momento dell'incontro svoltosi nella Citta' di Palmanova,ad itinere nel percorso del nostro Presidente proveniente dalla Città di Trieste ha permesso uno scambio proficuo di confronto e nello stesso momento si e' svolto un omaggio ai Caduti Italiani sia della Prima Guerra di Indipendenza che della seconda e Terza,assieme ai Caduti della Prima e Seconda Guerra Mondiale,sono stati ricordati Tutti i Caduti, nella Loggia dei Mercanti di Palmanova.

Da Palmanova.it  :Palmanova, citta’ di fondazione, ha una precisa data di nascita: 7 ottobre 1593.
Tale data fu scelta dai rappresentanti della Repubblica di Venezia in quanto ricordava due eventi importanti nella storia della repubblica, il primo, di carattere religioso, era la ricorrenza di Santa Giustina, che diventera’ patrona della nuova città, il secondo, di carattere civile, era l’anniversario della vittoria di Lepanto sui Turchi il 7 ottobre 1571.

Con la scelta di quest’ultimo avvenimento la Serenissima voleva lanciare un messaggio inequivocabile sulla funzione della nuova fortezza quale argine alle invasioni ottomane, non solo della Repubblica ma dell’intera cristianita’. Palmanova rimase per piu’ di duecento anni sotto il dominio della Serenissima (1593-1797), fino a quando il generale Bonaparte la conquisto’. Dopo il trattato di Campoformido la fortezza entro’ nell’orbita dell’impero austriaco (1798-1805), per poi venire inserita, a seguito di conquista, nel Regno d’Italia (1806-1814).
Dopo la caduta di Napoleone Palmanova rientrò a far parte dell’eterogeneo impero asburgico fino al 1866, con la sola parentesi dell’insurrezione del 1848, quando la fortezza subì un lungo assedio da parte delle truppe austriache.

Con il plebiscito del 1866 Palmanova venne sancita la sua unione definitiva al Regno d’Italia. Durante la prima guerra mondiale fu sede di ospedali, magazzini e campo di addestramento truppe, con la rotta di Caporetto la città subì gravi devastazioni. Verso la fine della seconda guerra mondiale in fortezza ebbe sede (Caserma Piave) un centro di repressione antipartigiano. Nel 1960 il Presidente della Repubblica decreto’ Palmanova quale “Monumento Nazionale”.








martedì 18 febbraio 2020

Fidca di Udine a Cordovado il g 17 Febbraio 2020-Conferenza Storica:"1943-1945 italiani senza meta".

La Fidca con il suo Presidente-Antonello Quattrocchi- di Udine ha voluto essere presente a Cordovado alla -Conferenza Storica :"1943-1945  Italiani senza meta" a nome di tutta la Associazione ed  a fianco di chi, con ammirevole impegno, ha voluto ricordare,ma sopratutto spiegare in forma imparziale e storicamente corretta ai giovani Studenti del Comprensorio,fatti ed avvenimenti che hanno caratterizzato la Storia d'Italia sopratutto nelle zone del confine orientale che hanno visto coinvolte le popolazioni giuliane,dalmate ed istriane.Comunque la Popolazione di Lingua Italiana!
L'importanza di parlarne agli Studenti, senza astio fazioso e' significativo di una azione culturalmente corretta  e di una didattica di spessore.
L'invito di partecipazione alla FIDCA-Federazione Italiana dei Combattenti Alleati- inviato in principal modo dal prof.Alberto Ciccone,Persona molta attenta ai Valori Nazionali, allarga il significato di essere Associazione, non solo combattentistica ma partecipe in ambito sociale,culturale e quindi definire un ampio orizzonte  sia per il confronto sia per l'analisi storica.

Prof Ciccone e Prof. Tessitori



Presenti  oltre alle  classi di 2 e 3 di Cordovado- scuola media- e le 3  medie collegate via skipe da 

Bagnarola e Morsano con i relativi Insegnanti .Presenti :il dirigente  dell'Istituto Comprensivo di 

Cordovado  il Prof. Venerus Alessandro,il.Prof tecnico per i collegamenti Glerean Fabrizio,il Prof.

 Alberto Ciccone,la Prof.ssa Mara Ruzza,insegnante di storia scuola primaria di Cordovado,il

Sindaco del Comune di Cordovado Brunettin Lucia,il vice-Sindaco di Sesto al ReghenaAndrea

Nonis,il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Cordovado,un rappresentante del Comune di

Morsano al Tagliamento.

-Presentazione del Prof. Alberto Ciccone.
-Relatore il Professor  Luigi Tessitori insegnante all'Istituto Sello di Udine.

L' attenzioni dei presenti e' stata elevata.


Vada all'Istituto comprensivo "I.Nievo"di Cordovado,al Dirigente Scolastico Prof. Alessandro Venerus,a tutti i presenti,Autorità Comunali.Istituzioni,Insegnanti, agli Studenti, il Nostro Plauso ed il nostro ringraziamento per questa importante Giornata rispettosa del Ricordo e di Istruzione per i nostri Giovani.!!!


da :https://www.luminosigiorni.it/2018/02/foibe-tragedia-dimenticata/

NOTE STORICHE:

Da il Piccolo--Dentro le foibe jugoslave, in segreto.

di Pietro Spirito

Nell'ottobre del 1957, carabinieri e militari dell'esercito italiano in assetto da combattimento entrarono in missione segreta, a più riprese, in territorio jugoslavo per visitare alcune foibe dove erano state compiute esecuzioni sommarie. Nel corso delle operazioni vennero esplorate quattro cavità con vari resti umani, furono scattate fotografie e redatti rapporti. La missione, organizzata con ogni probabilità dal Sifar, il servizio segreto antenato dell'attuale Sismi, era stata preceduta da un'operazione di copertura a Trieste, con l'esplorazione delle foibe di Monrupino e Basovizza.
A rievocare questi fatti oggi è Mario Maffi, 72 anni, di Cuneo, allora giovane sottotenente di complemento del Genio pionieri alpini inquadrato nella Compagnia «Orobica» di Merano. Fu proprio Maffi, agente segreto per caso, l'ufficiale che materialmente si calò nelle foibe nel corso degli sconfinamenti in Jugoslaviaper raccogliere la documentazione richiesta. Mario Maffi venne arruolato nella missione in virtù della sua esperienza di speleologo e di esperto di esplosivi, e oggi la sua testimonianza aggiunge un tassello nuovo a uno dei capitoli più drammatici della storia delle nostre terre.
La vicenda comincia all'inizio dell'ottobre 1957. Allora presidente del Consiglio è Adone Zolli, vicepresidente Giuseppe Pella, ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani, il governo è retto dalla Dc. Mario Maffi ha 24 anni, la sua famiglia vanta solide tradizioni militari e antifasciste: il nonno era stato ufficiale del battaglione Monviso nella prima guerra mondiale, il padre è ufficiale all'Istituto geografico militare, sua madre era stata partigiana, e lo stesso Maffi da bambino aveva operato come staffetta nella Resistenza. Quando viene chiamato a svolgere il servizio militare Maffi sceglie di fare l'ufficiale di complemento. Il giovane è anche uno speleologo esperto: è stato tra i fondatori del Gruppo Speleo Alpi Marittime del Cai di Cuneo, all'interno del quale svolge ancora oggi attività speleologica e didattica. Dopo il servizio militare Mario Maffi entrerà alla Fiat, dove rimarrà fino al 1988. Andrà in pensione con un anno di anticipo perché il periodo passato a Trieste verrà considerato come «missione di guerra».
All'inizio di ottobre del 1957, al termine delle esercitazioni estive, Mario Maffi viene convocato al Comando di Brigata. «Il generale - racconta oggi - mi disse che per una certa missione serviva un ufficiale esperto di grotte e di mine; mi disse anche la missione era coperta dal più assoluto segreto militare, e che era volontaria; non ero obbligato ad accettare, e inoltre l'operazione comportava anche un certo rischio».
Maffi accetta l'incarico. Scrive due lettere per i suoi cari che affida al cappellano («se non dovessi tornare per favore le spedisca», gli dice) e pochi giorni dopo parte. Nessuno gli spiega dove sta andando, e lui non deve fare domande. Si ritrova nella caserma dei carabinieri di Monfalcone, e qui finalmente viene a sapere quale sarà il suo incarico: dovrà scendere, assistito dgli speleologi del Gruppo grotte di Monfalcone, nella foiba di Monrupino «per constatare o meno la presenza di spoglie umane, stimarne la quantità e documentarle con fotografie». Successivamente dovrà fare lo stesso nelle foiba di Basovizza.
Il giovane tenente non ha mai sentito parlare di foibe, anzi quella parola, «foiba» la sente per la prima volta all'imbocco del cavità di Monrupino, prima di calarsi giù. Maffi non sa nemmeno che l'esplorazione delle due cavità triestine non è altro che un'operazione di facciata, e che la vera missione, ben più pericolosa, deve ancora cominciare. Del resto sia il pozzo della miniera che la foiba 149 sono già state esplorate in precedenza, e a più riprese. Ma a queste cose l' ufficiale non pensa mentre scende nei 126 metri della foiba di Monrupino. Assieme a lui c'è un noto speleologo monfalconese, Giovanni Spangher. «Fui calato con una specie di seggiolino - ricorda - e quando arrivai in fondo mi sentii accapponare la pelle: tra il pietrisco su cui camminavo spuntavano ossa umane, una mandibola, alcune costole, l'intero braccio di un bambino che avrà avuto non più di otto anni viste le dimensioni delle ossa». Maffi scatta fotografie e prende appunti. Accerta che le pareti della grotta sono state fatte saltare con esplosivo, e ipotizza altri resti umani sotto i detriti, probabilente quelli «dei soldati tedeschi degenti all'ospedale di Trieste, che si diceva fossero stati gettati nella grotta prima di farla saltare».
Il giorno dopo è la volta della foiba di Basovizza. La missione dovrebbe essere segreta, in realtà si volge alla luce del sole e in seguito i giornali ne parleranno anche ampiamente, con tanto di nomi e cognomi. La discesa nel pozzo della miniera avviene con l'ausilio degli speleologi della Commissione grotte «E. Boegan» dell'Alpina delle Giulie. Stavolta per scendere e salire vengono utilizzate le scalette, e Maffi impiega quasi un'ora solo per scendere i 130 metri di pozzo artificiale. «Sul fondo - racconta oggi - non c'era niente, solo immondizia; là dentro avevano scaricato di tutto, anche materiali bituminosi che avevano lasciato una specie di bava saponosa sulle pareti del pozzo; il fondo era melmoso e maleodorante; mi dissero che i resti umani erano più sotto, coperti dal materiale di scarico; dov'ero io però non c'era nulla, a parte una ruota di bicicletta e altre porcherie». Maffi esegue il suo lavoro e torna su. La missione si conclude con una lauta cena offerta dall'esercito a tutti gli speleologi, con brindisi e foto di rito.
Il giorno dopo la musica cambia. A Maffi viene illustrato il nuovo piano operativo. Gli ordinano di non avere rapporti con nessuno, di diffidare di chiunque, di vestire abiti borghesi. I carabinieri gli consegnano documenti con falsa identità, gli dicono di restare nella camera d'albergo e di non muoversi. «Rimasi segregato un paio di giorni - racconta -, uscivo a passeggiare la mattina ma il pomeriggio stavo chiuso in camera in attesa di ordini; poi mi fecero cambiare albergo». Comincia la vera missione: «Ogni pomeriggio mi veniva recapitata una lettera normalissima con l'indirizzo scritto a mano; all'interno c'era una seconda busta sigillata con scritto "Da aprire solo dopo le ore x", e dentro questa c'erano le istruzioni alle quali dovevo attenermi».
Per quattro notti consecutive tutto si svolge nello stesso modo. All'ora convenuta il tenente Maffi apre la busta, verso del 23 esce dell'albergo e seguendo le istruzioni raggiunge un'auto civile con persone in borghese. Nessuno parla, nessuno chiede niente. L'auto raggiunge una zona poco frequentata, sempre diversa, dove c'è una «Matta», la camionetta dei carabinieri. Maffi si avvicina e pronuncia la parola d'ordine («erano frasi del tipo: avete un sigaretta?»), gli viene risposto con la contro-parola (tipo: «di che marca?»), e quindi l'ufficiale salta sul mezzo. «Mentre la camionetta camminava - ricorda Maffi - mi cambiavo indossando tuta, elmetto, scarponi, cinturone con pistola e due caricatori, uno innestato e uno in fondina; a fine corsa scendevo, e scortato da due carabinieri armati ma senza mostrine e gradi proseguivo per un lungo tratto fra le sterpaglie; a un certo punto i miei accompagnatori si fermavano e piazzavano il mitragliatore pesante in postazione mascherandolo con alcuni rami; messi i colpi in canna un solo milite, strisciando con me, mi indicava il percorso fino a quando potevo individuare nel buio la dolina prescelata; da lì proseguivo da solo fin sull'orlo della foiba». Il giovane tenente ha con sè due spezzoni arrotolati di scala da dieci metri l'uno, senza fare il minimo rumore per non essere scoperto dalle pattuglie jugoslave fissa la scala a un appiglio sicuro, poi scende nella foiba senza sicura. Arrivato in fondo documenta quanto vede, poi torna su con la massima cautela. Recupera le scale, le arrotola e strisciando raggiunge il compagno non prima di aver lanciato il segnale convenuto, «un fischio a imitazione del verso del gufo». «Questa storia - dice ancora Maffi - si ripetè per quattro notti durante le quali visitai quattro foibe diverse tutte oltre la linea del confine; mi avevano detto che le imboccature potevano essere minate, ma solo una volta mi imbattei in un oggetto che poteva essere una mina e girai al largo».
Sul fondo di quelle foibe Maffi riscontrò «diversi resti umani, non in quantità esorbitanti ma, purtroppo, in condizioni atroci: alcuni teschi con lo sfondamento della nuca, mani o piedi avvolti da filo spinato, la stessa cosa su una cassa toracica; trovai uno scheletro rannicchiato in un anfratto: quel poveraccio doveva essere ancora vivo quando lo gettarono giù; alcuni avevano lembi di divise militari o vestiti civili, per altri non c'era traccia di indumenti; ricordo un cranio con i capelli lunghi, probabilmente una donna; in tutte e quattro le foibe era stato usato l'esplosivo».
La mattina dopo la quarta sortita Maffi viene svegliato dal portiere dell'albergo: «Mi disse che il signor tal dei tali mi aspettava nella hall; era un segnale convenuto, significava che dovevo lasciare l'albergo in tutta fretta, il controspionaggio era venuto a sapere qualcosa». Due giorni dopo il tenente Maffi è di nuovo a Merano. In caserma stampa le fotografie, di nascosto fa una copia per sé («ma solo di quelle delle foibe di Monrupino e Basovizza, purtroppo») e scrive il suo rapporto, notando che almeno per le foibe triestine «a mio avviso non era possibile organizzare un recupero di salme».
La storia della missione segreta del tenente Maffi termina qui. Ancora oggi l'anziano speleologo cuneese non saprebbe indicare quali furono esattamente le cavità da lui visitate in Jugoslavia, né perché il nostro governo decise quella missione, e neppure dove si trovano i documenti relativi l'intera operazione. Questa, casomai, è materia da storici. Mario Maffi sa solo che dopo il congedo e una vita dedicata al lavoro nelle officine della Fiat, adesso che è un pensionato come tanti il ricordo di quella missione da 007 gli è rimasto impresso nel fondo dell'animo, e che quando sente pronunciare la parola «foiba» viene preso da un nodo alla gola.

FIDCA Udine a : Basovizza, Faedis,Tempio Ossario di Udine

La Fidca di Udine ha cercato di essere presente a tutte le cerimonie che si sono svolte per la ricorrenza della Giornata del Ricordo, molte cerimonie sono anche nelle giornate successive alla data del giorno 10 febbraio, atti di presenza anche in contemporanea sono state condivise assieme all'amico Franco Prezza nominato Commissario per la Rifondazione del Nastro Azzurro in Udine.

Basovizza:  10 febbraio 2020



La Foiba di Basovizza, pozzo minerario in disuso, è una delle cavità naturali disseminate sull'altipiano del Carso triestino dove, negli anni a cavallo del 1945, furono uccise migliaia di persone. Qui, come nelle altre foibe presenti nel territorio triestino e sloveno, vi furono gettati civili e militari (molti ancora vivi) dai vari eserciti partecipanti al conflitto mondiale.Le Persone venivano anche legato con il filo spinato e nella spinta trascinavano tutte le altre Persone.  Al termine della guerra, inoltre, l'esercito jugoslavo utilizzò queste voragini per farvi scomparire molte delle persone catturate,nelle Foibe caddero anche Sloveni,comunque avversari politici ed anche nemici interni.

La Foiba di Basovizza rappresenta TUTTE le Foibe!!

In seguito alle sollecitazioni  e pressioni dell'opinione pubblica italiana, gli Angloamericani procedettero ad un parziale recupero dei resti umani della Foiba di Basovizza.
Chiusa l'imboccatura nel 1959, dopo lunghe  anzi lunghissime vicissitudini, nel 1992 venne dichiarata Monumento Nazionale.

Dal 2007, il Sacrario di Basovizza si presenta con un nuovo e restaurato assetto architettonico. A fianco e' stato creato il Centro di Documentazione dove i visitatori potranno reperire tutte le informazioni relative alla Foiba e alla tragica storia di quegli anni.

La Foiba di Basovizza è oggi  un  luogo della Memoria per tutti, per le famiglie degli infoibati e dei deportati morti nei campi di concentramento dell'ex Jugoslavia e per chi vuole conoscere aspetti di quella Storia.
LA FIDCA NON DIMENTICA!

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Faedis e Porzus:



75° anniversario dell’eccidio delle malghe di Porzus

Commemorazione ufficiale domenica 9 febbraio a Faedis

L'eccidio di Porzûs consistette nell'uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945, di diciassette partigiani della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di un gruppo di partigiani – in prevalenza gappisti – appartenenti al Partito Comunista Italiano.



La località di Porzûs si trova nel Friuli orientale, ed esattamente nelle Valli del Torre, comune di Faedis. E' in queste vallate che si consuma la tragedia di Porzûs. Le formazioni partigiane Osoppo erano sorte formalmente nel dicembre 1943 con il concorso politico principale  di Democrazia Cristiana e Partito d'Azione. In queste vallate i rapporti con i garibaldini e le formazioni partigiane slovene furono, soprattutto a partire dall'autunno 1944, estremamente tesi, con una popolazione che vedeva di cattivo occhio le formazioni partigiane, sia italiane che slovene, soprattutto dopo le feroci rappresaglie naziste seguite alla caduta del territorio libero di Attimis-Faedis-Nimis a fine settembre 1944.
Nell'inverno 1944-1945 si intrecciano una serie di colloqui clandestini (in realtà risaputi) tra direzione dell'Osoppo e comando delle SS e almeno in una caso tra l'Osoppo e la X MAS di Junio Valerio Borghese, con l'intento da parte fascista e nazista di costituire un fronte contro l'avanzante "slavocomunismo" - e almeno retrospettivamente, da parte dell'Osoppo, con l'intento di raggiungere un'accordo sull' "umanizzazione" della guerra.

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Celebrazione al Tempio Ossario per Riccardo Gigante e Alberto Diana trucidati nel 1945 vicino a Fiume
-Udine 13 febbraio 2020

A distanza di settantacinque anni, sono finalmente tornati a casa. Sono i resti dei corpi di Riccardo Gigante, irredentista, senatore del Regno d’Italia e podestà di Fiume, e di Alberto Diana, vice brigadiere dei carabinieri. Entrambi erano stati uccisi dai partigiani di Tito il 4 maggio 1945 in località Crekvina, nei pressi di Castua, un paese che oggi si trova in Croazia, tra Abbazia e Fiume.Presenti FIDCA di Udine e Nastro Azzurro -Quattrocchi e Prezza-ed altre associazioni fra cui Ass.Bersaglieri,Ass.Carabinieri e Marinai d'Italia.






martedì 11 febbraio 2020

FIDCA Udine :Giornata del Ricordo 10 Febbraio 2020-UDINE ed Università di Udine

La FIDCA di Udine ha partecipato in forma compatta alle Cerimonie del Giorno del Ricordo,a fianco della ANVGD sia alla SS.MESSA sia al Corteo sia alla deposizione della Corona.

Il clima che si era creato a Udine, con le scritte contro la Giornata del Ricordo,l'imbrattamento delle Targe commemorative,scritte sui muri della Città,ecc. ha visto la risposta organizzata e decisa della sezione di Udine con la presenza degli amici :Quattrocchi Antonello,Valter Bortolotti,Luca Braida,Attilio Palermo, Rolando Tozza,Manuel Alejandro Torrealba Pilotta.Presenti : ANVGD di Udine, Presidente Bruna  Zuccolin e tanti Soci, fra gli altri :Club Unesco di Udine con la Presidente dottoressa Renata Capria d'Aronco-Socia Onoraria della FIDCA di Udine.Presenti anche l'Associazione nazionale Carabinieri e la Associazione nazionale Bersaglieri,il Nastro Azzurro di Udine e varie associazioni culturali.

Cippo ai Martiri


FIDCA Udine con Valter Bortolotti.

Messaggero Veneto 11 febbraio 2020

Manuel Pilotta -Giovane Socio Universitario


Nel pomeriggio all'Universita' di Udine confermata la presenza della FIDCA,con Quattrocchi Antonello,Alessandro Berghinz,Gloriano Rubinich.




«La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del Ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.»
Art. 1 legge 92/ 2004


Localita' di alcune foibe.



martedì 4 febbraio 2020

Fidca Udine: 26 Gennaio 2020-NIKOLAJEWKA--FIDCA Udine ed UNUCI sez.Cervignano del Friuli -CARGNACCO

Nelle giornata del --26 gennaio 2020-- molti soci appartenente sia all'UNUCI sezione di Cervignano e della FIDCA Sezione di Udine hanno partecipato alla Cerimonia a Cargnacco--- 77°della Ricorrenza della Battaglia  di Nikolajewka.




Fra cui  gli amici :Mario Fresa,Valter Bortolotti,Francesco Vrizzi,Paolo Fantin,Attilio Palermo,Stefano Cagnato.ecc.,rappresentanti  di varie Associazioni Combattentistiche e D'Arma,il Club per l'Unesco di Udine,la LIDU di Udine,il Nastro Azzurro di Udine,ecc.


Tempio di Cargnacco



Da: https://www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/La%20Battaglia%20di%20Nikolajewka.pdf


La battaglia di Nikolajewka :Fu così che dopo 200 chilometri di ripiegamento a piedi e con pochi muli e slitte, sempre aspramente contrastati dai reparti nemici e dai partigiani sovietici, il mattino del 26 gennaio 1943 gli alpini della Tridentina, alla testa di una colonna di 40.000 uomini quasi tutti disarmati e in parte congelati, giunsero davanti a Nikolajewka. Forti del tradizionale spirito di corpo gli alpini del generale Reverberi, dopo una giornata di lotta, espugnarono a colpi di fucile e bombe a mano il paese annientando gli agguerriti difensori annidati nelle case.



Quando ormai stavano calando le prime ombre della sera e sembrava che non ci fosse più niente da fare per rompere l'accerchiamento, il generale Reverberi, comandante della Tridentina, saliva su un semovente tedesco e, incurante della violenta reazione nemica, al grido di "Tridentina avanti!" trascinava i suoi alpini all'assalto. Il grido rimbalzò di schiera in schiera, passò sulle labbra da un alpino all'altro, scosse la massa enorme degli sbandati che, come una valanga, assieme ai combattenti ancora validi, si lanciarono urlando verso il sottopassaggio e la scarpata della ferrovia, la superarono travolgendo la linea di resistenza sovietica. I Russi sorpresi dalla rapidità dell'azione dovettero ripiegare abbandonando sul terreno i loro caduti, le armi ed i materiali. Il prezzo pagato dagli alpini fu enorme: dopo la battaglia rimasero sul terreno migliaia di caduti. Tutti gli alpini, senza distinzione di grado e di origine, diedero un esempio di coraggio, di spirito di sacrificio e di alto senso del dovere. In salvo Dopo Nikolajewka la marcia degli alpini proseguì fino a Bolscke Troskoye e a Awilowka, dove giunsero il 30 gennaio e furono finalmente in salvo, poterono alloggiare e ricevere i primi aiuti. Il 31 con il passaggio delle consegne ai Tedeschi termina ogni attività operativa sul fronte russo. Fino al 2 febbraio continuarono ad arrivare i resti dei reparti in ritirata. I feriti gravi vennero avviati ai vari ospedali, poi a Schebekino alcuni furono caricati su un treno ospedale per il rimpatrio. La colonna della Tridentina riprese la marcia il 2 febbraio per giungere a Gomel il 1° marzo. Gli alpini percorsero a piedi 700 km e solamente alcuni, nell'ultimo tratto, poterono usufruire del trasporto in ferrovia. Il rimpatrio Il 6 marzo 1943 cominciarono a partire da Gomel le tradotte che riportavano in Italia i superstiti del Corpo d'Armata Alpino; il giorno 15 partì l'ultimo convoglio e il 24 tutti furono in Patria. Mentre per il trasporto in Russia del Corpo d'Armata Alpino erano stati necessari 200 treni, per il ritorno ne bastarono 17. Sono cifre eloquenti, ma ancor più lo sono quelle dei superstiti: considerando che ciascuna divisione era costituita da circa 16.000 uomini, i superstiti risultarono 6.400 della Tridentina, 3.300 della Julia e 1.300 della Cuneense.


Camicie Nere in azione


Da :ARMA DEI CARABINIERI: La campagna di Russia si concluse in un disastro per le truppe italiane e per quelle tedesche. Ma ci furono anche atti di grande eroismo, come quello del carabiniere Plado Mosca, che si immolò in una carica solitaria contro il nemico. Pochi mesi dopo quella ritirata nel gelo dell’inverno russo, cadde il governo presieduto da Mussolini.

Sagrato del Tempio



Onori ai militari italiani:


Gli italiani potevano contare su 230 mila uomini con 55 carri armati leggeri e 1.600 cannoni; di fronte una massa di 425 mila soldati, quasi 1.200 carri armati, ben cinque mila tra cannoni e mortai.






 12 alpini  si sono posizionati davanti ai cippi che ricordano le divisioni e i reparti.