La Fidca con il suo Presidente-Antonello Quattrocchi- di Udine ha voluto essere presente a Cordovado alla -
Conferenza Storica :
"1943-1945 Italiani senza meta" a nome di tutta la Associazione ed a fianco di chi, con ammirevole impegno, ha voluto ricordare,ma sopratutto spiegare in forma imparziale e storicamente corretta ai giovani Studenti del Comprensorio,fatti ed avvenimenti che hanno caratterizzato la Storia d'Italia sopratutto nelle zone del confine orientale che hanno visto coinvolte le popolazioni giuliane,dalmate ed istriane.
Comunque la Popolazione di Lingua Italiana!
L'importanza di parlarne agli Studenti, senza astio fazioso e' significativo di una azione culturalmente corretta e di una didattica di spessore.
L'invito di partecipazione alla FIDCA-Federazione Italiana dei Combattenti Alleati- inviato in principal modo dal prof.Alberto Ciccone,Persona molta attenta ai Valori Nazionali, allarga il significato di essere Associazione, non solo combattentistica ma partecipe in ambito sociale,culturale e quindi definire un ampio orizzonte sia per il confronto sia per l'analisi storica.
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Prof Ciccone e Prof. Tessitori |
Presenti oltre alle classi di 2 e 3 di Cordovado- scuola media- e le
3 medie collegate via skipe da
Bagnarola
e Morsano con i relativi Insegnanti .Presenti :il dirigente dell'Istituto Comprensivo di
Cordovado il Prof. Venerus Alessandro,il.Prof tecnico per i collegamenti Glerean Fabrizio,il Prof.
Alberto Ciccone,la Prof.ssa Mara Ruzza,insegnante di storia scuola primaria di Cordovado,il
Sindaco del Comune di Cordovado Brunettin Lucia,il vice-Sindaco di Sesto al ReghenaAndrea
Nonis,il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Cordovado,un rappresentante del Comune di
Morsano al Tagliamento.
-Presentazione del Prof. Alberto Ciccone.
-Relatore il Professor Luigi Tessitori insegnante all'Istituto Sello di Udine.
L' attenzioni dei presenti e' stata elevata.
Vada all'Istituto comprensivo "I.Nievo"di Cordovado,al Dirigente Scolastico Prof. Alessandro Venerus,a tutti i presenti,Autorità Comunali.Istituzioni,Insegnanti, agli Studenti, il Nostro Plauso ed il nostro ringraziamento per questa importante Giornata rispettosa del Ricordo e di Istruzione per i nostri Giovani.!!!
da :https://www.luminosigiorni.it/2018/02/foibe-tragedia-dimenticata/
NOTE STORICHE:
Da il Piccolo--Dentro le foibe
jugoslave, in segreto.
di Pietro Spirito
Nell'ottobre del 1957, carabinieri e militari dell'esercito italiano in assetto
da combattimento entrarono in missione segreta, a più riprese, in territorio
jugoslavo per visitare alcune foibe dove erano state compiute esecuzioni
sommarie. Nel corso delle operazioni vennero esplorate quattro cavità con vari
resti umani, furono scattate fotografie e redatti rapporti. La missione,
organizzata con ogni probabilità dal Sifar, il servizio segreto antenato
dell'attuale Sismi, era stata preceduta da un'operazione di copertura a
Trieste, con l'esplorazione delle foibe di Monrupino e Basovizza.
A rievocare questi fatti oggi è Mario Maffi, 72 anni, di Cuneo, allora giovane
sottotenente di complemento del Genio pionieri alpini inquadrato nella
Compagnia «Orobica» di Merano. Fu proprio Maffi, agente segreto per caso,
l'ufficiale che materialmente si calò nelle foibe nel corso degli sconfinamenti
in Jugoslaviaper raccogliere la documentazione richiesta. Mario Maffi venne
arruolato nella missione in virtù della sua esperienza di speleologo e di
esperto di esplosivi, e oggi la sua testimonianza aggiunge un tassello nuovo a
uno dei capitoli più drammatici della storia delle nostre terre.
La vicenda comincia all'inizio dell'ottobre 1957. Allora presidente del
Consiglio è Adone Zolli, vicepresidente Giuseppe Pella, ministro della Difesa
Paolo Emilio Taviani, il governo è retto dalla Dc. Mario Maffi ha 24 anni, la
sua famiglia vanta solide tradizioni militari e antifasciste: il nonno era
stato ufficiale del battaglione Monviso nella prima guerra mondiale, il padre è
ufficiale all'Istituto geografico militare, sua madre era stata partigiana, e
lo stesso Maffi da bambino aveva operato come staffetta nella Resistenza.
Quando viene chiamato a svolgere il servizio militare Maffi sceglie di fare
l'ufficiale di complemento. Il giovane è anche uno speleologo esperto: è stato
tra i fondatori del Gruppo Speleo Alpi Marittime del Cai di Cuneo, all'interno
del quale svolge ancora oggi attività speleologica e didattica. Dopo il
servizio militare Mario Maffi entrerà alla Fiat, dove rimarrà fino al 1988.
Andrà in pensione con un anno di anticipo perché il periodo passato a Trieste
verrà considerato come «missione di guerra».
All'inizio di ottobre del 1957, al termine delle esercitazioni estive, Mario
Maffi viene convocato al Comando di Brigata. «Il generale - racconta oggi - mi
disse che per una certa missione serviva un ufficiale esperto di grotte e di
mine; mi disse anche la missione era coperta dal più assoluto segreto militare,
e che era volontaria; non ero obbligato ad accettare, e inoltre l'operazione
comportava anche un certo rischio».
Maffi accetta l'incarico. Scrive due lettere per i suoi cari che affida al
cappellano («se non dovessi tornare per favore le spedisca», gli dice) e pochi
giorni dopo parte. Nessuno gli spiega dove sta andando, e lui non deve fare
domande. Si ritrova nella caserma dei carabinieri di Monfalcone, e qui
finalmente viene a sapere quale sarà il suo incarico: dovrà scendere, assistito
dgli speleologi del Gruppo grotte di Monfalcone, nella foiba di Monrupino «per
constatare o meno la presenza di spoglie umane, stimarne la quantità e
documentarle con fotografie». Successivamente dovrà fare lo stesso nelle foiba
di Basovizza.
Il giovane tenente non ha mai sentito parlare di foibe, anzi quella parola,
«foiba» la sente per la prima volta all'imbocco del cavità di Monrupino, prima
di calarsi giù. Maffi non sa nemmeno che l'esplorazione delle due cavità
triestine non è altro che un'operazione di facciata, e che la vera missione,
ben più pericolosa, deve ancora cominciare. Del resto sia il pozzo della
miniera che la foiba 149 sono già state esplorate in precedenza, e a più
riprese. Ma a queste cose l' ufficiale non pensa mentre scende nei 126 metri
della foiba di Monrupino. Assieme a lui c'è un noto speleologo monfalconese,
Giovanni Spangher. «Fui calato con una specie di seggiolino - ricorda - e
quando arrivai in fondo mi sentii accapponare la pelle: tra il pietrisco su cui
camminavo spuntavano ossa umane, una mandibola, alcune costole, l'intero
braccio di un bambino che avrà avuto non più di otto anni viste le dimensioni
delle ossa». Maffi scatta fotografie e prende appunti. Accerta che le pareti
della grotta sono state fatte saltare con esplosivo, e ipotizza altri resti
umani sotto i detriti, probabilente quelli «dei soldati tedeschi degenti
all'ospedale di Trieste, che si diceva fossero stati gettati nella grotta prima
di farla saltare».
Il giorno dopo è la volta della foiba di Basovizza. La missione dovrebbe essere
segreta, in realtà si volge alla luce del sole e in seguito i giornali ne
parleranno anche ampiamente, con tanto di nomi e cognomi. La discesa nel pozzo
della miniera avviene con l'ausilio degli speleologi della Commissione grotte
«E. Boegan» dell'Alpina delle Giulie. Stavolta per scendere e salire vengono
utilizzate le scalette, e Maffi impiega quasi un'ora solo per scendere i 130
metri di pozzo artificiale. «Sul fondo - racconta oggi - non c'era niente, solo
immondizia; là dentro avevano scaricato di tutto, anche materiali bituminosi
che avevano lasciato una specie di bava saponosa sulle pareti del pozzo; il
fondo era melmoso e maleodorante; mi dissero che i resti umani erano più sotto,
coperti dal materiale di scarico; dov'ero io però non c'era nulla, a parte una
ruota di bicicletta e altre porcherie». Maffi esegue il suo lavoro e torna su.
La missione si conclude con una lauta cena offerta dall'esercito a tutti gli
speleologi, con brindisi e foto di rito.
Il giorno dopo la musica cambia. A Maffi viene illustrato il nuovo piano
operativo. Gli ordinano di non avere rapporti con nessuno, di diffidare di
chiunque, di vestire abiti borghesi. I carabinieri gli consegnano documenti con
falsa identità, gli dicono di restare nella camera d'albergo e di non muoversi.
«Rimasi segregato un paio di giorni - racconta -, uscivo a passeggiare la
mattina ma il pomeriggio stavo chiuso in camera in attesa di ordini; poi mi
fecero cambiare albergo». Comincia la vera missione: «Ogni pomeriggio mi veniva
recapitata una lettera normalissima con l'indirizzo scritto a mano; all'interno
c'era una seconda busta sigillata con scritto "Da aprire solo dopo le ore
x", e dentro questa c'erano le istruzioni alle quali dovevo attenermi».
Per quattro notti consecutive tutto si svolge nello stesso modo. All'ora
convenuta il tenente Maffi apre la busta, verso del 23 esce dell'albergo e
seguendo le istruzioni raggiunge un'auto civile con persone in borghese.
Nessuno parla, nessuno chiede niente. L'auto raggiunge una zona poco
frequentata, sempre diversa, dove c'è una «Matta», la camionetta dei
carabinieri. Maffi si avvicina e pronuncia la parola d'ordine («erano frasi del
tipo: avete un sigaretta?»), gli viene risposto con la contro-parola (tipo: «di
che marca?»), e quindi l'ufficiale salta sul mezzo. «Mentre la camionetta
camminava - ricorda Maffi - mi cambiavo indossando tuta, elmetto, scarponi,
cinturone con pistola e due caricatori, uno innestato e uno in fondina; a fine
corsa scendevo, e scortato da due carabinieri armati ma senza mostrine e gradi
proseguivo per un lungo tratto fra le sterpaglie; a un certo punto i miei
accompagnatori si fermavano e piazzavano il mitragliatore pesante in postazione
mascherandolo con alcuni rami; messi i colpi in canna un solo milite,
strisciando con me, mi indicava il percorso fino a quando potevo individuare
nel buio la dolina prescelata; da lì proseguivo da solo fin sull'orlo della
foiba». Il giovane tenente ha con sè due spezzoni arrotolati di scala da dieci
metri l'uno, senza fare il minimo rumore per non essere scoperto dalle
pattuglie jugoslave fissa la scala a un appiglio sicuro, poi scende nella foiba
senza sicura. Arrivato in fondo documenta quanto vede, poi torna su con la
massima cautela. Recupera le scale, le arrotola e strisciando raggiunge il
compagno non prima di aver lanciato il segnale convenuto, «un fischio a
imitazione del verso del gufo». «Questa storia - dice ancora Maffi - si ripetè
per quattro notti durante le quali visitai quattro foibe diverse tutte oltre la
linea del confine; mi avevano detto che le imboccature potevano essere minate,
ma solo una volta mi imbattei in un oggetto che poteva essere una mina e girai
al largo».
Sul fondo di quelle foibe Maffi riscontrò «diversi resti umani, non in quantità
esorbitanti ma, purtroppo, in condizioni atroci: alcuni teschi con lo
sfondamento della nuca, mani o piedi avvolti da filo spinato, la stessa cosa su
una cassa toracica; trovai uno scheletro rannicchiato in un anfratto: quel
poveraccio doveva essere ancora vivo quando lo gettarono giù; alcuni avevano lembi
di divise militari o vestiti civili, per altri non c'era traccia di indumenti;
ricordo un cranio con i capelli lunghi, probabilmente una donna; in tutte e
quattro le foibe era stato usato l'esplosivo».
La mattina dopo la quarta sortita Maffi viene svegliato dal portiere
dell'albergo: «Mi disse che il signor tal dei tali mi aspettava nella hall; era
un segnale convenuto, significava che dovevo lasciare l'albergo in tutta
fretta, il controspionaggio era venuto a sapere qualcosa». Due giorni dopo il
tenente Maffi è di nuovo a Merano. In caserma stampa le fotografie, di nascosto
fa una copia per sé («ma solo di quelle delle foibe di Monrupino e Basovizza,
purtroppo») e scrive il suo rapporto, notando che almeno per le foibe triestine
«a mio avviso non era possibile organizzare un recupero di salme».
La storia della missione segreta del tenente Maffi termina qui. Ancora oggi
l'anziano speleologo cuneese non saprebbe indicare quali furono esattamente le
cavità da lui visitate in Jugoslavia, né perché il nostro governo decise quella
missione, e neppure dove si trovano i documenti relativi l'intera operazione.
Questa, casomai, è materia da storici. Mario Maffi sa solo che dopo il congedo
e una vita dedicata al lavoro nelle officine della Fiat, adesso che è un pensionato
come tanti il ricordo di quella missione da 007 gli è rimasto impresso nel
fondo dell'animo, e che quando sente pronunciare la parola «foiba» viene preso
da un nodo alla gola.